sabato 17 dicembre 2011

Schneeflocken

1. Come? Il fulgore di quell'astro abbacina? - o forse, sei tu che sei cieco?

2. Fraintendimenti.
"Per fortuna, ho un sacco di persone attorno nei momenti difficili."
Gli avvoltoi restringono il cerchio intorno ai viandanti sfiancati.

3. In uno scontro, l'importante non è chi ha il coltello dalla parte del manico, ma chi ha paura di tagliarsi.

4. "Leggerei Dostoevskij, se solo fosse meno prolisso."
     Ma allora, non sarebbe Dostoevskij affatto.

5. L'asina di Balaam.
Quando il diritto di parola cessa di essere un privilegio, sono i somari a divenire le guide degli uomini.

6. Ci si deve pur trovare fra l'incudine e il martello, per poter essere temprati a dovere.

7. Anti-specismo. 
"Tutte le specie sono uguali fra loro, e l'uomo è solo un animale fra gli altri": non è questa una macroscopica antinomia? La possibilità stessa di una discussione sul valore delle specie presuppone una nostra intrinseca superiorità.

8Secolarizzazione.
"Gesù fu il primo socialista"? - o forse, è il comunista ad essere l'ultimo cristiano?

9. Il valore di un uomo, di un popolo, di un movimento lo si può evincere - lo si deve evincere - dalla musica che produce. E non stupisce che il fascismo abbia generato perlopiù idiosincrasie musicali.

10. Ciò che rende le opere di Poe migliori di quelle di Lovecraft non è solo il suo stile, oscuro e raffinato come l'ebano. Alla riuscita del racconto contribuisce l'indagine dell'animo umano, un ricettacolo di orrori ben più grandi di quelli che si celano nei recessi cosmici o nelle profondità oceaniche.

venerdì 11 novembre 2011

Piccola Storia Ignobile

"The lunatic is carried at last to the asylum."


“Mi svegliai colpito in volto da un tiepido raggio di sole. Spaesato, mi guardai intorno e iniziai lentamente a distinguere le suppellettili di sempre: presi coscienza di essere nella mia camera da letto. Un sapido odore di pane arrostito e marmellata e i rumori della cucina - stoviglie che cozzavano fra loro, scalpiccio frenetico, risate - mi convinsero finalmente ad alzarmi per dirigermi nella stanza attigua.
Caddi.
Sorrisi, incolpando lo stordimento che segue il risveglio; feci forza sulle braccia e...
...caddi di nuovo.
Stupito, disteso a terra, provai a osservare le mie gambe e con orrore constatai che non c’erano più; al loro posto, lunghi arti inferiori ingombranti e glabri. Osservando le braccia, vidi che terminavano con due mani informi, che si diramavano ciascuna in un numero esorbitante di dita.
Iniziai a gridare, sconvolto, ma dalla gola uscì solo un suono basso e strozzato. Intanto, in cucina, era sceso un silenzio surreale e il suono di una sedia spostata all’indietro mi fece capire che qualcuno sarebbe presto giunto nella mia stanza; con fatica mi trascinai verso la porta, utilizzando quella specie di artigli comparsi nottetempo, e tentai di bloccare l’entrata. Grazie al peso del mio corpo, la porta resistette all’urto; ma al primo tentativo ne seguirono altri, sempre più violenti, mentre un suono convulso di ferraglia si mesceva a voci - o dovrei dire, grugniti grotteschi ed incomprensibili? - sempre più stridule.
Alfine la porta cedette.
Nel vedermi, la strana creatura bipede si scagliò contro di me: mi sferrò un calcio in pieno volto e poi, mentre giacevo accecato dalle lacrime, con veemenza abbassò su di me l’arma che stringeva fra le mani.
Mi risvegliai in questo luogo, circondato da muri bianchi e soffici, impedito in ogni mio movimento. Credo siano già tre mesi che sono in questo inferno…non resisterò oltre…cercherò la pace nella morte…”

Cari telespettatori, ciò che avete sentito è l’unica testimonianza che possediamo di quello squilibrato che ha interessato la nostra telecronaca così a lungo; l’uomo si è suicidato ieri sera al manicomio di Ednuh.
Chi era costui? Cosa voleva? Cosa cercava quel giorno nell'appartamento della famiglia Rossi?

Ah già, quasi dimenticavo: se trovate un bassotto di pelo nero e corto con una targhetta d’argento al collo chiamateci! Era il cane della famiglia Rossi: è tre mesi che è scomparso…


[Credits: F. K. ]

martedì 16 agosto 2011

West Side Story

Poggiai la siringa sul tavolino ed avvertii subito un forte appetito misto ad euforia: cupido di cibo misi a soqquadro l'intera cucina per trovare, infine, un marcescente contenitore d'alluminio nel frigorifero...
Con un movimento rotatorio dei polpastelli lo scrutai attentamente, con acribia da assassino; individuata che l'ebbi, afferrai la linguetta e tirai con delicatezza mentre il metallo, cedevole, s'incurvava.
"No, la Scatoletta di Tonno no!" esclamò Fanny. "Non farlo, ti prego; conosci il suo carattere, odia che si tocchi ciò che è suo: ti ucciderà, si vendicherà..." continuava, mentre divoravo avidamente la meschina pietanza rinvenuta.
Invano si spendeva in avvertimenti: avevo compiuto il gesto, infranto il divieto; "Nitimur in vetitum" risposi sfrontatamente, uscendo dalla stanza e dirigendomi al saloon più vicino.

Squallido e giallastro a causa della sabbia che, sovente, investiva le sue pareti, il Milly Market &Co. era pur sempre il luogo della mia infanzia, luogo di libidine, degrado e perversione.
Mi sedetti al solito posto osservando una decrepita grassona, seduta due posti più in là, e le sue mani adipose le quali bistrattavano un quotidiano che sfogliò fino alla pagina delle barzellette.
Leggendole, esplose in una fragorosa risata: le interiora volarono tutto intorno lordando di sangue il locale!

Immediatamente accorse la cameriera con lo straccio, mentre Johnny gettava il cadavere della vecchia nel cassonetto sul retro: Lullaby (così chiamavano l'inserviente), inginocchiandosi e strofinando energicamente il pavimento per rimuovere le entragna, mostrava le cosce procaci e imprimeva al florido seno un moto ondulatorio.
Ero ancora immerso in pensieri lascivi quando l'ombra di qualcuno dietro me fece sì che mi girassi: vidi appena il lampo di un vindice pugnale e Tonno che, con occhi atrabiliari, abbassava su di me l'arma per vendicarsi dell'offesa subìta.

venerdì 22 aprile 2011

Mémoire d'un ciel d'hiver

                                                                                   "Agghiacciato tremar tra nevi algenti
                                                                                                    Al severo spirar d’orrido Vento,
                                                                                              
 Correr battendo i piedi ogni momento;
                                                                                                   E pel soverchio gel batter i denti..."


La neve fioccava lentamente: turbinando nell'aria compiva acrobazie aeree con movenze d'almea per stendersi, poi, sul terreno spoglio similmente ad un sudario su di un cadavere.
Come ricoperti da un candido drappo gli alberi neri e scheletrici acquisivano forme speciose e sfumavano i contorni degli oggetti nel nevischio sferzante, mentre si amalgamavano i giardini, un tempo, finitimi; un inusitato sole crepuscolare dava luogo ad uno spettacolo singolare: rifulgeva il paesaggio di una luce albicante come una distesa equorea affocata da un sole meridiano. 
Gradualmente, il disco rutilante disparve dietro le montagne, plumbei ammassi rocciosi che, a guisa di Colonne d'Ercole, si stagliavano minacciosi proibendo una visione Ulteriore; solitarie, nella luce serotina, riecheggiavano le languide note di un violino zigano: le dita battevano furiose, rapsodiche sulla tastiera nell'inane tentativo di allontanare gli effetti del freddo pungente.
La bianca coltre celava le turpitudini perpetrate dal gelo il quale, in un'algida morsa, stritolava anacronistici ciuffetti d'erba che, sporadicamente, emergevano timidi, facendosi strada fra le crepe dell'asfalto consunto; delicata come un'ipocrisia, essa si adagiava sul corpo del vecchio boemo, stremato dagli strali dell'inverno: arrendevole, si lasciò cadere abbandonandosi alla blandizie del Ghiaccio e dedicandosi alla contemplazione della volta celeste.
Mentre l'insensibilità sopraggiungeva repente, avvertì in sè un sentimento affatto nuovo di riconciliazione con la Natura che, pure, aveva il sentore di qualcosa di ancestrale e umbratile e, chiudendo le palpebre, poco prima di spirare, avvertì il suo armonizzarsi col Tutto: ed una concordia d'ineffabile piacere racchiudeva quella indicibile sensazione in cui "vibrava il tacito e segreto appello della terra, il suo silente dono di messi maturande e il suo inesplicato rifiutarsi nella deserta aridità del campo invernale".


mercoledì 16 marzo 2011

Όνειρος

Già muore la notte ma,
dagli alberi,
si levano
murmuri ancestrali
e nell'aria tracciano
arabeschi
le foglie che cadono
lievi.

Tutt'intorno (o forse Altrove) s'irradia
una luce d'opale
ormai blanda: la Luna
disperde
nel concavo cielo,
poveri
i resti della sua Maestà.

E s'alza, ambasciatore del giorno
che viene,
un vento antelucano;
come vascelli dondolati da pigre onde,
danzano
i ranuncoli, dai tenui petali redimiti,
con isocroni passi,
esalando superne fragranze
dalle feraci latebre,
corolle dischiuse.