venerdì 22 aprile 2011

Mémoire d'un ciel d'hiver

                                                                                   "Agghiacciato tremar tra nevi algenti
                                                                                                    Al severo spirar d’orrido Vento,
                                                                                              
 Correr battendo i piedi ogni momento;
                                                                                                   E pel soverchio gel batter i denti..."


La neve fioccava lentamente: turbinando nell'aria compiva acrobazie aeree con movenze d'almea per stendersi, poi, sul terreno spoglio similmente ad un sudario su di un cadavere.
Come ricoperti da un candido drappo gli alberi neri e scheletrici acquisivano forme speciose e sfumavano i contorni degli oggetti nel nevischio sferzante, mentre si amalgamavano i giardini, un tempo, finitimi; un inusitato sole crepuscolare dava luogo ad uno spettacolo singolare: rifulgeva il paesaggio di una luce albicante come una distesa equorea affocata da un sole meridiano. 
Gradualmente, il disco rutilante disparve dietro le montagne, plumbei ammassi rocciosi che, a guisa di Colonne d'Ercole, si stagliavano minacciosi proibendo una visione Ulteriore; solitarie, nella luce serotina, riecheggiavano le languide note di un violino zigano: le dita battevano furiose, rapsodiche sulla tastiera nell'inane tentativo di allontanare gli effetti del freddo pungente.
La bianca coltre celava le turpitudini perpetrate dal gelo il quale, in un'algida morsa, stritolava anacronistici ciuffetti d'erba che, sporadicamente, emergevano timidi, facendosi strada fra le crepe dell'asfalto consunto; delicata come un'ipocrisia, essa si adagiava sul corpo del vecchio boemo, stremato dagli strali dell'inverno: arrendevole, si lasciò cadere abbandonandosi alla blandizie del Ghiaccio e dedicandosi alla contemplazione della volta celeste.
Mentre l'insensibilità sopraggiungeva repente, avvertì in sè un sentimento affatto nuovo di riconciliazione con la Natura che, pure, aveva il sentore di qualcosa di ancestrale e umbratile e, chiudendo le palpebre, poco prima di spirare, avvertì il suo armonizzarsi col Tutto: ed una concordia d'ineffabile piacere racchiudeva quella indicibile sensazione in cui "vibrava il tacito e segreto appello della terra, il suo silente dono di messi maturande e il suo inesplicato rifiutarsi nella deserta aridità del campo invernale".